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Musei Civici di Arte Antica
Comune di Ferrara

Il Museo Riminaldi tra Sette e Ottocento


 

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Museo Riminaldi
 

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Il Museo Riminaldi tra Sette e Ottocento
Elena Bonatti

Palazzo Paradiso nel Settecento, sede del Museo, in un disegno di Giuseppe Padovani Il progetto di Giammaria Riminaldi per il rinnovamento del Museo rivoluzionò profondamente quell’istituto fondato nel 1758 a Palazzo Paradiso dal numismatico Vincenzo Bellini. Accanto all’Accademia del Disegno, al Teatro anatomico, al Lapidario, all’Orto dei Semplici e alla Biblioteca il Museo occupava dalla sua istituzione fino al 1782 alcune stanze nell’ammezzato prospiciente l’orto botanico. Il prestigio del gabinetto numismatico era alto, nonostante l’angustia e le apparenze, e tutte le sue originali collezioni – dalla raccolta numismatica, alle cose attinenti le scienze naturali, alle serie di ritratti in bronzo, alle placchette, alle gemme fino ai selezionati libri di storia venivano conservati in gran parte entro armadi e scrigni, con una limitata superficie espositiva, così come descritto nel catalogo del 1772.

Con la Riforma dello Studio nel 1771 si avviarono laboriose fasi di risarcimento e ampliamento degli istituti universitari di Palazzo Paradiso che interessarono anche il Museo. Riminaldi infatti volle attuare un processo di revisione completo, in antitesi all’assetto del Bellini e in vista degli ariosi allestimenti che riteneva necessari per esaltare il gusto classico o moderno dei doni che andava raccogliendo a Roma.

A tal fine tra 1778 e 1781 sovrintende ai lavori per insediare il Museo al piano nobile del palazzo, negli ambienti attigui al Poggiolo, intendendo collocare negli spazi liberati dell’ammezzato le raccolte naturalistiche, i gessi e le stampe. Ancora oggi se si sale nella galleria alla sommità dello scalone di Palazzo Paradiso l’epigrafe che sovrasta l’accesso alla Sala Rossa ricorda il trasferimento del Museo e la munificenza del Riminaldi. Furono gli anni in cui non passava stagione senza che il prelato ferrarese da Roma non organizzasse spedizioni per terra e per mare, affinché nella città natale si magnificasse il suo nome attraverso i doni al “nuovo Museo”. Il portale di Palazzo Schifanoia, disegno di Antonio Furlanetto, 1915

Dal 1788 in poi, vuoi per una sorta di disinteresse nei confronti di progetti che forse rivelavano una troppa marcata ambizione personale, vuoi per il timore di furti, vuoi per l’assenza della figura di custode, il Museo aprì e chiuse i battenti in tempi alterni ancora prima che il cardinale morisse e per tutta la prima metà dell’Ottocento. Attorno al 1850 a Palazzo Paradiso rimanevano ancora insediate la Biblioteca pubblica, in tendenziale ampliamento, e il Museo: Giuseppe Antonelli coadiuvato da Giuseppe Boschini ne risollevò le sorti riconsegnandolo alla originale fisionomia di gabinetto didattico della storia.

In questo quadro le opere d’arte furono oggetto di trasferimenti e di rientri non sempre registrati con cura; si innescarono processi di dispersione tali da rendere ben presto poco identificabile la raccolta riminaldiana nel suo insieme. Per cura di Giuseppe Boschini nel 1852 si affrontò la riorganizzazione sistematica delle collezioni archeologiche trasferendole nelle sale a destra della torretta, mentre molti dei materiali lapidei e numerosi dipinti tra cui una serie di ritratti di uomini illustri donati da Riminaldi furono ridistribuiti in tempi diversi tra Palazzo Paradiso, Palazzo dei Diamanti e la sede municipale. Nel 1898 le collezioni antiquarie uscirono da Palazzo Paradiso inaugurando Schifanoia.
 
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