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Musei Civici di Arte Antica
Comune di Ferrara

Rilievi con putti


 

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Museo Riminaldi
 

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Rilievi con putti
Jacopo Curzietti

Baccanale di puttiQuesti due ovali del Museo Riminaldi vanno ricondotti a quel vasto repertorio iconografico dei rilievi romani applicati a sarcofagi, frontoni e architravi, il cui studio aveva contrassegnato l’immaginario figurativo di celebri pittori e disegnatori, come già Pisanello sin dall’inizio del Quattrocento. La migliore riformulazione di questi motivi è senza dubbio quella proposta da Tiziano nel ciclo di tele raffiguranti Baccanali (l’Offerta a Venere e gli Andrii, Madrid, Museo del Prado; il Bacco e Arianna, Londra, National Gallery), realizzato tra il 1518 e il 1523 per il “camerino d’alabastro” fattosi costruire da Alfonso d’Este nel Castello di Ferrara. La splendida rielaborazione dei temi mitologici e delle figurazioni antiche proposta dall’artista veneto segnò profondamente il gusto della corte estense e, più in generale, influenzò in modo determinante il formulario di immagini usato dai pittori nati nell’area gravitante tra Venezia e Bologna: lo dimostrano, nel pieno del Seicento, la produzione pittorica e disegnativa di Giulio Carpioni e, alla metà del XVIII secolo, quella di Gaspare Diziani.

A questo clima culturale, in cui le reminiscenze mitologiche, nate dall’analisi di lunga tradizione dei testi antichi, si fondono con il costante desiderio di evasione in un passato vagheggiato, bisogna far risalire la passione del Riminaldi per questo genere di raffigurazioni, soddisfatta e incrementata dall’offerta del mercato artistico romano a metà del Settecento.
Va sottolineata l’influenza della rilettura dell’antico in chiave mitologica intrapresa da Tiziano determinante non solo per la pittura veneta ed emiliana tra il XVI e il XVIII secolo, ma anche per l’eco estesosi fino a Roma, dove, sin dal 1598, le tele ferraresi erano presenti nelle collezioni della famiglia Aldobrandini, e, a partire dal 1622, in quella dei Ludovisi. Per tutto il Seicento esse rappresentarono, assieme alla rilettura del tema proposta nelle analoghe rappresentazioni affrescate dai Carracci per la Galleria di Palazzo Farnese, uno dei principali spunti figurativi per gli artisti attivi nella città pontificia; lo dimostra sia lo sviluppo di una moderna corrente classicistica propugnata da Nicolas Poussin, sia la nascita dell’innovativo linguaggio barocco nella pittura di Pietro da Cortona. Questo fenomeno culturale fu definito concordemente dai teorici “neovenezianismo”, intendendosi con questo termine il nuovo clima di attualizzazione nel presente dell’ideale classico rinnovato in chiave cromatica. Accanto a questa rilettura essenzialmente pittorica, non va dimenticata la proposta dallo scultore fiammingo François Duquesnoy, a lungo impegnato “a studiare li putti di Tiziano” (Bellori 1672) armonizzandone il caldo colorismo con la sodezza disegnativa dei Carracci e con il filologico rigore formale impiegato nell’attenta osservazione degli originali romani cui quella pittura si ispirava. Nascono così i due splendidi rilievi conservati nella Galleria Doria Pamphilj di Roma (l’Amor divino che abbatte l’Amor profano e il Baccanale di putti, 1629-1631 ca.), che costituiscono la premessa ineludibile per gli ovali acquistati a Roma dal cardinale Riminaldi.

Putti che percuotono un montonePertanto, i rilievi del Museo Riminaldi restituiscono, come già per i prototipi del Duquesnoy, un’immagine contraddistinta da un forte pittoricismo e da un’attenzione particolare al repertorio figurativo antico, che tuttavia consente di individuare le rispettive differenze qualitative. Mentre lo scultore fiammingo riesce a rendere i valori atmosferici delle ambientazioni grazie al fondo lavorato a gradina, l’anonimo scultore settecentesco ha bisogno di affollare le scene con dettagli naturalistici per evocare un paesaggio boschivo quanto più verosimile; mentre il Duquesnoy distanzia i piani mediante uno stiacciato finissimo per conferire ai putti sul fondo un carattere evanescente, negli ovali Riminaldi gli amorini si accalcano nel primo piano, togliendo respiro ed armonia alla scena.

Quello che agli inizi del XVII secolo poteva considerarsi una poetica riflessione sul valore storico e morale di un’antichità percepita ancora come potente stimolo per l’arte del presente, nella seconda metà del Settecento diventa una posizione arretrata e accademica: attardandosi in evocazioni formali e in sogni di evasione romantica, lo scultore dei rilievi ferraresi non comprese che l’essenza di un moderno linguaggio figurativo era ben lontana da un’ormai spenta reiterazione del pittoricismo neocinquecentesco e risiedeva invece in quella astrazione linearistica promulgata dall’incipiente estetica neoclassica come strumento per recuperare l’elemento razionale connesso all’antichità classica.
 
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